Matteo Porru: 16 anni in 16 libri. Intervista a un giovane talento

Matteo Porru è l'antitesi perfetta dello stereotipo giovanile descritto ovunque: positivo, pieno di interessi, impegnato, sognatore e con un curriculum di successi già piuttosto folto.

Matteo Porru: 16 anni in 16 libri. Intervista a un giovane talento
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27 Dicembre 2017 - 12.06


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di Margherita Sanna

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Giovanissimo e sorprendente, Matteo Porru, è una promessa letteraria italiana. Ha solo sedici anni e ha già scritto sedici libri, si sposta in continuazione tra presentazioni letterarie, gli studi al liceo classico Dettori di Cagliari e i suoi hobby. Matteo Porru è l’antitesi perfetta dello stereotipo giovanile descritto ovunque: positivo, pieno di interessi, impegnato, sognatore e con un curriculum di successi già piuttosto folto. La giuria del Premio Letterario Costa Smeralda nel 2017 gli ha conferito una menzione speciale con la motivazione “promessa della letteratura italiana e faro culturale, odierno e futuro”. Parole pregnanti che investono questo ragazzo di grandi aspettative, così abbiamo deciso di conoscere un po’ di più questa giovane promessa.

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Sei stato il più giovane scrittore della storia che ha partecipato alla Fiera del Libro di Francoforte. Da cosa nasce la tua presenza lì? Chi ti ha invitato e com’è stata la tua esperienza?

Avevo già partecipato alla fiera del libro di Torino con la mia casa editrice; ero anche lì il più giovane e abbiamo venduto tutte le copie del romanzo. I contatti del mio editore si sono ripresentati per la Buchmesse, palco immenso per ogni scrittore e che di certo non ti aspetti di calcare a sedici anni. Appena ho saputo dal mio editore di questo fantastico “arruolamento”, sono corso a casa e ho prenotato il volo! È stata una esperienza surreale, immensa, che ti dà un’idea di quanto sia grande, frenetico e complesso il mondo editoriale. La gente compra un prodotto finito col nome di un autore senza sapere, spesso, il lavoro immenso che c’è dietro. Ecco, a Francoforte ho avuto la possibilità di vedere quanto è bello scrivere e presentare le tue opere al mondo. Ho fatto sold-out anche lì. E al solo pensiero che nel padiglione accanto a me ci fossero due scrittori “sconosciuti” come Dan Brown e Stephen King mi fa venire ancora la pelle d’oca.

Quali sono i tuoi libri – bibbia, indispensabili nella tua libreria?

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Il mio immancabile “Tre volte all’alba” di Baricco, “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, ma anche Manzoni (lo si studia a forza a scuola e spesso la gente non ci ritorna e non scopre la bellezza che nascondono i personaggi), il Faust, Luciana Littizzetto, “Uno, nessuno e centomila” e “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello, passando per Shakespeare e Il Defonso Falcones. Molto variegata, la mia libreria!

I bambini di The Mission non sanno della loro patologia. Perchè questa scelta e non renderli consapevoli durante tutto il percorso?

Hai centrato il perno del romanzo. La chiave di lettura principale di The Mission è verità o bugia; se raccontare un qualcosa ti terribilmente vero, capace di distruggere completamente un’infanzia, o nascondere tutto sperando che, quando lo scoprirà, il pargolo sia pronto al grande scontro. Purtroppo non c’è una verità. Avrei potuto farglielo sapere fin da subito, ma l’immaginario collettivo individua nel non dire qualcosa una grossa ingiustizia. Se avessi detto tutto, non ci sarebbe stata questa storia e queste emozioni. Ovviamente per poter scrivere in modo empatico una situazione devi averla vissuta. Con questo enorme vantaggio, ho creato il concentrato di emozioni più realistico che io abbia mai scritto

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Perché ambientare il tuo romanzo a Roma e non in Sardegna? E perché hai descritto Roma come una dama che maschera la sua sofferenza?

La Sardegna non sarebbe stata un buon palcoscenico per il semplice fatto che non la conosco bene da poterci ambientare un libro. A Roma ci sono legato, oltre a conoscerla ci sono nato, la contemplo e la ammiro in tutta la sua eterna bellezza. E sarebbe stata perfetta, come città, per farla parlare. È un sogno che ho sempre avuto, far parlare una città. E Roma è perfetta: capolavori fuori, corruzione, dolore e silenzio dentro. Colonne doriche che nascondono pezzi di storia che lei stessa non avrebbe mai voluto vivere. Una vecchia dama, pazza per i saltimbocca, immagine di un carattere diretto e troppo vecchio per cambiare; una donna che si accetta per com’è, imperfetta e a volte scontrosa, ma piena di fossati e di lacune che difficilmente riesce a colmare.

Thanatos, la morte, l’eterno topos letterario e artistico, al centro di tantissime opere artistiche dagli albori della civiltà. Tu rappresenti una famiglia della morte, un uomo stanco, una donna algida. Da cosa nasce quest’idea? E quali sono le rappresentazioni della morte nell’arte e nella letteratura che ti hanno più colpito sinora?

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La mia Morte è il personaggio a cui tengo di più tra tutte le decine che ho inventato. Perché sradica il concetto da quella visione cattiva e nefanda che abbiamo tutti. Una stana coppia che fa la nostra vita: mangia, dorme, lavora come una dannata per non avere neanche introiti. È una maledetta apatica senza cuore? No, presunta tale. Prova delle emozioni anche lei. E che emozioni. L’idea dei due vecchi albini e nudi è sempre stata una mia visione della morte, ho voluto inserirla e darle vita perché penso che lo meriti. È una chiave di lettura diversa dell’altra faccia di madre Natura.

Tutti i tuoi precedenti libri sono in formato ebook e solo questo è cartaceo, lo valuti come un salto di qualità?

Altroché. Il cartaceo mi ha dato la possibilità di fare presentazioni in tutta Italia, pubblicizzare gli eventi, incontrare i lettori che mi scrivono sempre e a volte mi fermano per strada. Mi ha dato simpatia, nel senso greco: ho condiviso le emozioni in modo diretto e semplice. La gente è ancora affezionata al cartaceo.

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Qual è il tuo rapporto con i coetanei? Hai avuto difficoltà ad interagire con loro? Sei mai stato bullizzato?

Molto difficile, due lunghezze d’onda diverse. Ma l’abilità sta proprio nel cercare di equivalersi, di interagire e comunicare. I disagi dell’essere “speciale” sono parecchi: fidanzate te le scordi, interagisci con i grandi e i coetanei li lasci andare. Ma una volta una persona mi ha detto che avrei dovuto scrivere di loro, un giorno. E che per conoscerli così bene da scriverci sopra, dovevo avvicinarmi. Sto cercando di fare proprio così. Gli episodi di bullismo sono un ricordo lontano ma ancora vivo. Sono tutte esperienze che ti temprano. Tu incassi e incassi. La vita poi dà a tutti il reso, come nella Livella di Totò!

Quali autori sardi hai letto e leggi più frequentemente?

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Premetto che non leggo molti autori sardi, ma quei pochi che ho letto mi hanno stregato. Molti ho la fortuna di conoscerli personalmente, come Valeria Pecora, Paolo Parpaglia, Roberto Alba o Cristian Mannu. Ma leggo anche Abate, Nemus e, ovviamente, Grazia Deledda.

Sei un grande fan di Baricco, hai mai partecipato ai suoi corsi di scrittura alla Scuola Holden di Torino?

Non ne ho mai avuto l’onore. Rimane un mio grandissimo sogno nel cassetto.

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Hai in cantiere altri libri? Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sissignora! Il prossimo uscirà a metà del 2018, sempre per La Zattera edizioni: sarà un meraviglioso viaggio nel rapporto padre-figlio. Siamo ancora in pieno cantiere e c’è da lavorare parecchio. Ma sono contento ed elettrizzato. Sarà un Matteo Porru che vi sorprenderà!

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