Addio a Severino Cesari, l'uomo che ha trasformato l'editoria in Italia

Aveva 66 anni, malato da tempo. Giornalista, intellettuale, geniale editor di Einaudi. Con Paolo Repetti fondò la collona Stile Libero. Una grande perdita

Addio a Severino Cesari, l'uomo che ha trasformato l'editoria in Italia
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26 Ottobre 2017 - 16.07


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Ha scritto fino all’ultimo, Severino Cesari. Con quell’ironia e quell’incanto. La sua pagina Facebook era frequentatissima non solo da amici e scrittori, ma da tanti malati di cancro che gli raccontavano le loro storie. Aveva 66 anni, malato da tanto tempo. Un intellettuale, un giornalista, geniale editor della Einaudi per la quale con Paolo Repetti fondò Stile Libero. Aveva fiuto da giornalista e talento da scrittore. Wikipedia gli dedica poche righe, la sintesi di una vita. “Tra gli anni ’70 e ’90 è responsabile della pagina culturale e delle edizioni domenicali de Il manifesto, per cui crea il supplemento La Talpa Libri, insieme con Gianni Riotta e Astrit Dakli. Negli anni ’90, Paolo Repetti gli affida la collana Ritmi per Theoria (e con Theoria pubblica nel 1991 “Colloquio con Giulio Einaudi”). Era nato a Città di Castello nel 1951, è morto a Roma il 25 ottobre. Grandissimo lutto per il mondo della cultura tutto.
Questo il suo ultimo post, del 14 ottobre.
“A chi mi scrive per sapere del faticoso ricovero a Quantico, per i due piccoli interventi che mi hanno drenato in tutto sette kg di proteine purissime raccolte in grandi contenitori a becco largo di kg l’uno, già immortalati, ho una sola notizia, fonte di una certa moderata euforia: sono andati bene. L’ascite, questo subdulo individuo capace in pochissimi giorni di rimodellare la mia pancia in quella di un campione dell’Okboterfest, grazie pare – ci sono diverse teorie in proposito – grazie alla difficoltà per il pur potente fegato, per le lesioni oncologiche accresciute ed estese – di processare – con conseguente infiltrazione del liquido che protegge i nostri organi del torace – la proteina delle proteine, la proteina-trenino che guida le altre come la definì la Volantis mentre infilava un enorme ago dicendo, ora per mezzora almeno, un’ora non si muova per carità, dunque l’ascite primo e secondo round è stata ricacciata indietro senza rischio di versamento pleurico che avrebbe tutto aggravato, e questa non è una buona ma ottima notizia.
Ma non pensi sia finita qui, disse la dottoressa Volantis scostandosi un ciuffo biondo sfuggito alla cuffia verde ed esaminando controluce uno dei grandi contenitori di plastica frutto della mia continua pioggerella a scroscio, vede queste proteine purissime, del tutto inodori? Per quanto la teniamo a bada con i diuretici che deve prendere ogni giorno l’ascite si riformerà, una volta che i liquidi si sono scavati un alveo tendono a riempirlo di nuovo. Lei lo sa. È una legge della fisica. Non sappiamo in quanti giorni, pochissimi o tanti, ma lei dovrà tornare, senza aspettare magari un pancione come questo. Oppure no, si ricordi che se ha difficoltà come è evidente a venire all’ospedale l’ospedale verrà da lei, è un piccolo intervento, niente più che una puncicaturina in pancia, si può fare anche anche a casa, disse proprio così, alla romana, una puncitarunina, brrr, cosa vuole che sia.
Andai in un lampo ai tempi della dialisi. Era il 1976 e mi era stata diastogniticata una malattia degenerativa del rene, irreversibile. Doveva fare la dialisi ogni tre giorni perché fin dal terno giorno il liquido delle scorie – scorie puzzolenti queste, deezioni del corpo, non proteine purissime – aveva gonfiato gli organi interni fino a far traspirare la pelle di un odore molto strano. Era tempo di intervenire e la macchina della dialisi, ovvero il rene artificiale che mi drenava attraverso una membrana il sangue infetto per purificarlo in circa quattro ore, mi restituiva per qualche giorno alla vita.
Niente a che fare con questa semplice puncicaturina da nulla, pensai sollevato, e rividi nella mente la sfilata bianca dei lettini dei miei compagni di dialisi, nel sotteraneo inondato di luce contenuta.
Ma questa è un’altra storia, mi dissi nentre rivedevo per la prima volta i colori incantevoli dell’ottobre romano – con il taxi dell’andato, era in realtà la seconda – e anziché rimpiangere la detenzione di oltre mesi passati immobile nel letto per l’ischemia, provavo pura gratitudine”.

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