Addio a Nicola Pietrangeli, il sorriso e la racchetta che fecero grande l’Italia

Era un personaggio istrionico con una personalità vivace, a volte sopra le righe. Raccontò ad un quotidiano: “Il mio funerale, fra mille anni, si farà allo stadio Pietrangeli. Innanzitutto, perché c’è parcheggio, poi perché ci sono tremila posti seduti"

Addio a Nicola Pietrangeli, il sorriso e la racchetta che fecero grande l’Italia
Nicola Pietrangeli nel 2024 (Ansa/Riccardo Antimiani)
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Marcello Cecconi Modifica articolo

1 Dicembre 2025 - 11.11


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Oggi, all’età di 92 anni, se n’è andata una delle icone più indimenticabili del tennis di casa nostra ma anche di quello internazionale: Nicola Pietrangeli. Non vedremo più il suo sorriso ma il segno che ha lasciato nello sport ci accompagnerà per sempre.

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Pietrangeli, il primo italiano a vincere un titolo dello Slam conquistando il Roland Garros nel 1959 e raddoppiando l’impresa l’anno successivo, era nato a Tunisi l’11 settembre del 1933. Oltre a queste perle parigine, si ricordano numerosi altri successi come il titolo agli Internazionali d’Italia (nel 1957 e 1961), una semifinale a Wimbledon Championships (1960) e un numero sterminato di tornei in giro per il mondo.

Pietrangeli, inoltre, esaltò il suo nome iscrivendolo a lettere cubitali nella storia della Coppa Davi con 164 incontri disputati, record italiano e uno dei record mondiali, per partite giocate e vinte. Quando smise lo sport attivo divenne capitano della Nazionale guidandola alla storica vittoria della Coppa Davis nel 1976, un primo, indimenticabile trionfo che sarebbe stato rinnovato solo nel 2023 con la prolifica era Sinner. Negli anni fu anche onorato con l’ingresso nella International Tennis Hall of Fame, rimanendo per sempre l’unico italiano ad aver raggiunto certe vette nel suo tempo.

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Ma Pietrangeli non fu solo colui che portò trofei e gloria al tennis azzurro. Era un personaggio istrionico con una personalità vivace, a volte sopra le righe: un “uomo scanzonato” che amava scherzare e raccontare storie con una punta di saggezza, autoironia e comunque, mettendoci sempre la faccia come quando fece di tutto per portare a giocare la squadra a giocare e vincere la Davis nel Cile del dittatore Pinochet contro la volontà politica di molti.

Tanti gli aneddoti e le battute che lo riguardano. Vogliamo ricordare solo ciò che disse al Messaggero qualche tempo fa: “Il mio funerale, fra mille anni, si farà allo stadio Pietrangeli. Innanzitutto, perché c’è parcheggio, poi perché ci sono tremila posti seduti. Mi dispiace che non potrò assistere, per vedere chi viene e chi non viene. In caso piovesse, appunto, potremmo rimandare, mettendo la bara nel sottopassaggio. La musica la sto ancora decidendo, anche se My way all’uscita non sarebbe male”.

Tante generazioni lo ricordano così: il campione implacabile in campo, e l’uomo vero, capace di ridere di sé, capace di raccontare la vita come una partita con alti, bassi, molti errori, ma sempre con la faccia giusta. Il suo addio arriva in un momento in cui il tennis italiano vive una nuova fioritura ed è come se un testimone prezioso passasse al nuovo ma con un vuoto che sarà difficile da colmare

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