Questa è una delle esercitazioni svolte dalle studentesse e dagli studenti che stanno frequentando il Laboratorio di giornalismo, tenuto dal Professore Maurizio Boldrini. Sono da considerarsi, per l’appunto, come esercitazioni e non come veri articoli.
di Shefqet Kalia
Lo specchio dell’Italia riflesso in un piccolo paese abruzzese. Acitrullo, quadro del film Omicidio all’Italiana, una delle ultime opere del noto regista Maccio Capatonda, rappresenta lo stereotipo ideale del più classico borgo sperduto. Un luogo in cui domina la vecchiaia, ci sono più pecore che abitanti e internet è ancora sconosciuto. Qui nasce però
l’idea del sindaco Piero Peluria su come attirare gli occhi della nazione. La morte per soffocamento della contessa Ugalda Martirio viene spacciata per un accoltellamento, l’occasione perfetta per dare vita al caso dell’ennesimo omicidio che attira l’interesse di tutto il paese.
La spettacolarizzazione del dolore attira l’attenzione mediatica verso il borgo abruzzese. Quella di Maccio Capatonda è una critica sociale forte, espressa con una comicità che evidenzia l’imbarazzante gestione hollywoodiana dei
casi drammatici da parte della televisione italiana. Ad Acitrullo sbarca Donatella Spruzzone, abile conduttrice del programma “Chi l’acciso”, col chiaro intento di raggiungere il boom di ascolti. “Una volta che passa dentro quella scatola, tutto diventa puro intrattenimento, e la verità non conta più niente” recita in un certo frangente la giornalista del celeberrimo programma. Una frase che racchiude perfettamente il modo in cui i grandi editori delle televisioni si pongono nei confronti di casi simili.
L’intrattenimento regna sovrano e sembra non porsi limiti. È questo filo comune che lega tutti i dolorosi episodi di cronaca nera degli ultimi anni. Davanti a tragici delitti cadono tutti i valori morali e vince la curiosità. Un’onda cavalcata da televisioni e giornalisti, che sui luoghi interessati creano veri e proprio set cinematografici per non perdersi neanche un collegamento live. “Chi l’acciso” ricorda in modo abbastanza intuitivo i più noti programmi dei nostri palinsesti e la loro gestione di casi come il Delitto di Aventrana o l’omicidio di Yara Gambirasio.
Un film ben riuscito, che vaga tra satira, commedia e finto giallo, per far emergere una denuncia importante. La televisione e la sua tendenza verso lo show oscurano la verità, lo spettatore, insieme alla sua attenzione, è schiavo di un sistema che spesso riesce nel suo intento.