La pipa di Aristotele: gli antichisti alla prova del “giallo”

Sul convegno, Tommaso Braccini, Professore ordinario di Filologia greca e latina presso l'Università di Siena e curatore dell’evento, racconta ai lettori di Culture.Globalist i motivi di questa originale iniziativa.

La pipa di Aristotele: gli antichisti alla prova del “giallo”
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13 Maggio 2025 - 16.10


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di Tommaso Braccini

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Il “giallo”, com’è noto, è uno dei generi letterari (e non solo) più onnivori, per quanto riguarda la scelta dei luoghi e delle epoche in cui ambientare le sue trame. E il passato, con tutte le sue suggestioni e i suoi “misteri”, è senz’altro uno degli orizzonti più ambiti dagli autori. Il medioevo innanzitutto, che in un immaginario gotico di umide segrete e sinistre abbazie risulta particolarmente congeniale a storie di delitti, come ben sapeva Umberto Eco, il cui esempio viene seguito ancora adesso da tanti epigoni. Ma anche l’antichità ha finito, inevitabilmente, per attirare l’attenzione dei giallisti. Da un lato, in effetti, il mondo antico ha sviluppato e teorizzato il ragionamento logico: senza Aristotele, insomma, non ci sarebbe stato Sherlock Holmes, e dunque non a caso il grande filosofo è diventato il protagonista di una fortunata serie di romanzi investigativi. Dall’altro, le infuocate arringhe degli avvocati durante i processi costituiscono i modelli archetipici dei gialli giudiziari alla Perry Mason: e quindi, anche l’antica Roma ha avuto la sua dose di romanzi mystery. Senza dimenticare i medici antichi come Ippocrate e Galeno, potenziali antesignani dei moderni anatomopatologi forensi che furoreggiano in libreria e sugli schermi: ancora non sono stati sfruttati a dovere, ma forse è solo questione di tempo. Ma non è nemmeno necessario che ci sia un aggancio oggettivo con la dimensione del crimine e dell’indagine perché le trame investigative siano proiettate nel passato. Talora è sufficiente la presenza di un personaggio sommariamente noto anche al grande pubblico per imbastire racconti che attirino il lettore mescolando delitti, paesaggi mediterranei sereni e assolati alla Alma Tadema, sentimento e ricostruzione storica. Un caso in specie è quello del romanzo dedicato recentemente a Saffo da uno dei massimi grecisti italiani, Franco Montanari. D’altronde si sa che per trovare l’autore di un delitto la conoscenza dell’animo umano è necessaria quanto le più sofisticate tecniche di analisi, se non di più (Maigret docet). E dunque la più grande poetessa lirica potrebbe non stonare, in questo senso, accanto agli specialisti in camice bianco di CSI.

Anche al di là della letteratura, non stupisce poi che finiamo quasi inconsciamente per proiettare la nostra categoria di “giallo” su tanti altri aspetti del passato greco e romano. I ritrovamenti archeologici, innanzitutto, che vengono costantemente presentati dai mezzi di informazione, e talora anche dagli archeologi stessi, come altrettanti “enigmi”, “misteri”, “rompicapi”. Ma per noi risultano “gialli” anche certi meccanismi legati alla costruzione della suspense, alla scoperta di delitti e crimini inconfessabili, al riconoscimento di persone scomparse o sotto mentite spoglie, in particolare – ma non solo – nella tragedia. Tra i precursori del moderno mystery, non a caso, viene spesso citato l’Edipo re di Sofocle, il cui protagonista, tramite un confronto sempre più drammatico con i “testimoni” di fatti terribili avvenuti nel passato e connessi alla sua stessa nascita, arriverà a comprendere l’enormità dei delitti che, senza saperlo, ha commesso: uccidere il proprio padre, e commettere incesto con la propria madre. Un meccanismo narrativo, effettivamente, efficacissimo, oggi come quasi duemilacinquecento anni fa. E non a caso è stato adottato da due dei film gialli più intriganti, e inquietanti, degli ultimi decenni: Angel heart – Ascensore per l’inferno di Alan Parker, e Memento di Christopher Nolan.

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Come succede spesso, tra i due mondi della narrativa (in senso lato) e dello studio dell’antichità non c’è però un vero e proprio dialogo. Certo, si trovano dei prestiti e dei contatti: i romanzieri per le loro ambientazioni attingono alle ricerche degli studiosi, e questi ultimi colgono invece suggestioni utili soprattutto per quella che, in termini burocratici, si chiama oggi “terza missione”, ovvero un’attività di divulgazione e di presentazione a un pubblico ampio. Perché la conversazione prenda davvero slancio e diventi significativa, però, manca ancora il protagonista più importante: l’antichità stessa. Occorre dialogare a tutto campo con i Greci e i Romani per capire innanzitutto se nel loro mondo ci fosse davvero di qualcosa di paragonabile al nostro “giallo”. Racconti di furti e delitti non mancavano, sicuramente c’erano indagini, sicuramente nei tribunali si discettava di prove e indizi… ma basta questo per parlare di “gialli” antichi? O si tratta solo di una sovrastruttura che noi proiettiamo sul passato? E se anche Greci e Romani avevano dei loro “gialli”, fino a che punto sono sovrapponibili a quelli cui siamo abituati? Questa è la prima, fondamentale domanda alla quale rispondere. Ed è una domanda che non interessa solo gli antichisti. Perché questo confronto con il passato è fondamentale anche per capire il presente, e nella fattispecie un genere, e per certi versi un approccio alla realtà, che conosce un inarrestabile successo da almeno duecento anni, ovvero dai Delitti della rue Morgue di Edgar Allan Poe, una storia “moderna” ma in cui non mancavano, significativamente, riferimenti all’antichità.

Come fare, però, per instaurare questo dialogo con uomini e donne scomparsi da millenni? La “macchina del tempo” è costituita dagli strumenti dell’antropologia del mondo antico. È grazie a questa peculiare “lente d’ingrandimento”, per rimanere in tema investigativo, che si può cercare di recuperare quella che si definisce la dimensione “emica”, ovvero l’ottica dei “nativi”, in questo caso dei Greci e Romani, evitando di ingabbiarli nelle maglie della nostra cultura, e disincrostandoli dai nostri preconcetti. E una volta risposto a questo primo quesito, sarà possibile vedere con occhi nuovi anche gli altri accostamenti tra “giallo” e antichità. Per arrivare al risultato, c’è bisogno del contributo di studiosi e appassionati di antichità dalle provenienze e competenze più varie, in grado di tenersi in equilibrio tra serietà scientifica e volontà di parlare a un pubblico ampio. Perché, come mostra il successo di tante iniziative di divulgazione, la curiosità e l’interesse per il mondo classico non mancano, tutt’altro. C’è una grande voglia di sapere, ed è una mano tesa che gli studiosi non devono ignorare. Anche mettendosi in gioco, o addirittura giocando, magari provando a calarsi per una sera in una forma di intrattenimento sempre più popolare, come la “cena con delitto”, intrecciandola col simposio. Questo “dialogo” a tutto tondo con gli antichi e con i moderni nel segno dell’antropologia è una sfida non banale, e anzi complessa e appassionante. Anche stavolta l’hanno raccolta il Centro interuniversitario di Antropologia del Mondo Antico e l’Associazione Antropologia e Mondo Antico, continuando nella loro tradizione ormai quasi quarantennale di ricerca. Indagine, anzi. E dunque, inevitabilmente, nel segno del “giallo”.

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