di Niccolò Capecchi
Gli anni Ottanta in Italia furono un periodo che segnò profondamente la memoria collettiva e risvegliò nel popolo la già assodata convinzione che il problema mafia non fosse solo un tema da associare alla cronaca nera o ai quartieri disagiati delle città del Meridione. La storia della lotta alla mafia conta numerose vittime tra uomini e donne comuni che hanno donato la propria vita in nome di un ideale. È grazie a film come questo che possiamo ricordarli.
“Fortapàsc” di Marco Risi racconta la celebre storia del giornalista campano Giancarlo Siani e della sua lotta alla Camorra, offrendo uno spaccato dell’Italia dell’epoca. A un giovane Libero De Rienzo spetta il ruolo di protagonista e il compito di restituire l’innocenza e la genuinità di un ragazzo del Vomero innamorato del giornalismo, che fa della sua voglia di diffondere la verità la propria vocazione. Del Siani di Marco Risi vediamo, nella parte iniziale, il lato più umano: il rapporto con la fidanzata Daniela, quello fraterno con l’amico e collega Rico e quello con il caporedattore de “Il Mattino”, Sasà, per il quale lui lavora come “abusivo”. Con quest’ultimo intratterrà uno dei dialoghi più pregni di significato del film sulla definizione di “giornalista giornalista” contrapposta a quella di “giornalista impiegato”.
Giancarlo appare da subito come un uomo estraneo all’ambiente di Torre Annunziata, mosso dalla voglia di far conoscere la verità circa l’influenza che i clan camorristici locali esercitano sull’amministrazione comunale. Questa curiosità lo porterà a fare la conoscenza del capitano Sensales, un carabiniere che, come lui, vuole combattere la criminalità nella città campana, sebbene continuamente ostacolato dall’immobilismo delle istituzioni. Presto riuscirà a scavare a fondo nelle dinamiche di potere dei clan locali, conducendo un’inchiesta sull’arresto del boss Valentino Gionta a seguito dello scoppio del conflitto tra i clan Nuvoletta e Bardellino. Giancarlo ottiene finalmente una certa fama, anche tramite un confronto faccia a faccia con il corrotto sindaco Cassano. È proprio da quest’ultimo che deriva il titolo del film, in un discorso alla cittadinanza, infatti, sottolineerà come Torre Annunziata non sia “come Fortapàsc” (riferendosi al celebre film western degli anni ’40), nonostante gli atti cruenti avvenuti negli ultimi giorni. Siani viene trasferito nella sede principale del quotidiano a Napoli, dove finalmente si lascia alle spalle il passato da “abusivo”. I clan non hanno però perdonato lo smacco e, a seguito di incessanti minacce, lo assassineranno una volta di ritorno a Torre.
Risi, che non è estraneo al genere drammatico, cerca di dare una svolta rispetto al suo passato artistico di stampo comico, che pure lascia tracce anche in quest’opera con l’introduzione di elementi umoristici utili a spezzare il ritmo narrativo. Il cast fornisce una performance tutto sommato efficace, seppur nella media. L’unico a spiccare per qualità è Massimiliano Gallo nel ruolo di Valentino Gionta, che si avvale della sua formazione teatrale per restituire un’immagine quasi palpabile del boss mafioso, catturando l’attenzione degli spettatori. La fotografia e il comparto audio non brillano per originalità e non elevano la pellicola al di sopra della media delle produzioni nazionali. Stessa cosa si potrebbe dire della regia, che risulta tuttavia giustificata e consona al tema trattato: l’essenzialità, il raccontare una storia del genere in maniera semplice e diretta, senza virtuosismi e drappeggi, è in realtà una scelta vincente.
“Fortapàsc” è un film che, pur non essendo un capolavoro del genere, fa il suo dovere e manda un messaggio chiaro, di cui dovremmo fare sempre tesoro. È sicuramente un film da proiettare nelle scuole, poiché terribilmente attuale e un ottimo strumento per insegnare alle nuove generazioni la storia di Siani e di altri “martiri della legalità”, troppo spesso dimenticati.
