A Siena, al Santa Maria della Scala, la Tebaide di Lippo Vanni 

Celato per settecento anni, ritorna alla luce un ciclo di affreschi di pittura eremitica, grazie ad un restauro promosso dalla Società di Pie Disposizioni e il sostegno economico di Robert Cope.

A Siena, al Santa Maria della Scala, la Tebaide di Lippo Vanni 
Preroll AMP

redazione Modifica articolo

4 Novembre 2025 - 19.36


ATF AMP

A Siena, al Santa Maria della Scala, fino al 1999 c’era un ciclo di Lippo Vanni ancora totalmente celato da secoli di imbiancature e calce. Fu allora che durante i lavori di recupero dell’ex Ospedale, realizzati ad opera dell’architetto Guido Canali, emersero le prime tracce di una serie di dipinti murali, in un ambiente che concedeva l’accesso alla Compagnia dei Disciplinati, realizzate in prevalenza a monocromo in ocra rossa. Con la rimozione di un controsoffitto, avvenuta pochi anni dopo, emerse quello che sembrava un ciclo di Storie di monaci eremiti.

Top Right AMP

Lo storico dell’arte Alessandro Bagnoli pubblicò nel 2001 un primo studio che rendesse nota la scoperta, attribuendone la paternità a Lippo Vanni. Ma la campagna di restauri, consistente in scopertura, consolidamento e pulitura, potè avviarsi solo nel 2021, grazie al contributo economico di Robert Cope, presidente della Fondazione Vaseppi, oltre all’interessamento della Società di Pie Disposizioni.

La presentazione ufficiale della conclusione dei lavori avverrà il prossimo giovedì 6 novembre alle 16, nella Sala di Sant’Ansano al Santa Maria della Scala, mentre dal giorno dopo il ciclo potrà essere ammirato, entrando stabilmente nel percorso di visita del complesso museale. 

Dynamic 1 AMP

Ad essere rappresentata da Lippo Vanni intorno agli anni quaranta del Trecento, nella sua modalità debitrice soprattutto all’opera di Ambrogio Lorenzetti, è la vita di santi eremiti nel deserto di Tebe in Egitto, tratta dalle Vite dei santi Padri, opera del monaco pisano domenicano fra Domenico Cavalca, tradotta in volgare intorno al 1330. Senza seguire la linearità spaziale, l’affresco sviluppa in un quasi totale monocromo rosso, una serie di episodi isolati, immersi nella natura brulla di rocce e grotte, con i monaci intenti in attività meditativa, penitenziaria e di lavoro. Lo spazio pittorico, privo di architetture, oltre al lavoro corale penitenziario dei santi Padri del deserto, doveva servire da sprone all’esercizio dell’umiltà alla Compagnia dei Disciplinati che si riuniva in uno luogo prossimo a quest’affresco. Un’opera che è nata per una contemplazione ristretta, che traduce visivamente il linguaggio morale, teologico e spirituale della Siena trecentesca. Un tassello coerente, nella ricostruzione della storia artistica della città.

FloorAD AMP
Exit mobile version