di Luisa Marini
Nell’ampia Sala intitolata a Italo Calvino, all’ultimo piano del Santa Maria della Scala, il regista Luca Verdone, visibilmente emozionato, ha presentato il film dedicato al padre, Mario: l’emozione è stata ancor più forte in quanto il docufilm è stato proiettato nella città di origine della nonna di Luca e davanti agli amici senesi, che lo hanno abbracciato con evidente affetto. La visione del documentario è introdotta dall’omaggio di alcuni ospiti, dall’ex Sindaco Roberto Barzanti, a Francesca Barbi Marinetti, nipote del fondatore di “Futurismo” che Mario Verdone, esperto delle Avanguardie del Novecento e in particolare proprio di questa corrente, aveva conosciuto personalmente nel 1935, al poeta Elio Pecora. Le loro parole hanno avuto un filo di narrazione condiviso: la familiarità di un personaggio di grande cultura e vitale curiosità per la vita e l’arte in tutte le sue forme.
La scelta del figlio Luca è quella di ripercorrere la vita del padre Mario, classe 1917, scrittore, critico cinematografico e primo docente di Storia e critica del film nelle università italiane, nello stile del cinéma vérité, attraverso la rievocazione intima e spontanea dei ricordi nella casa di campagna di Cantalupo in Sabina, a partire dai filmini di famiglia: “Carlo si divertiva a imitare un ubriaco, io a riprenderlo con la cinepresa 8 millimetri. Giochi semplici e ingenui come eravamo noi ragazzi a quell’epoca” dice Luca sulle prime immagini che scorrono.
La ripresa spesso cala in verticale dall’alto in basso a inquadrare foto, libri, quadri (tra cui il ritratto eseguito da Pietro Sadun) che Luca, Carlo e Silvia, talvolta accompagnata dal marito Christian De Sica, prendono a spunto per richiamare alla memoria fatti e aneddoti della carriera di Mario Verdone. Delineano, così, la personalità poliedrica di Mario che era sempre in anticipo sui tempi, oltre alla sua instancabile voglia di viaggiare. Basti pensare ai suoi documentari che ritraggono l’Italia degli anni Cinquanta, impegnata com’era a risollevarsi dalla guerra. Tempi lontani che trovano riscontro nel suo lavoro.
La storia di Mario Verdone si intreccia, infatti, con quella di un’intera stagione della storia d’Italia, dagli anni Trenta fino a quelli più recenti: l’infanzia e l’adolescenza trascorse a Siena, con la frequentazione del Teatro del Costone e la tesi con Norberto Bobbio all’università; la Biennale di Venezia, di cui fu selezionatore; Roma e il lavoro al Centro Sperimentale di Cinematografia (dove porta come ospite Charlie Chaplin); i contatti con i cineasti del tempo (tra gli altri, Rossellini e De Sica, per il quale, promuovendo Ladri di Biciclette a Parigi, contribuisce all’Oscar); l’attività di critico cinematografico (Bianco e Nero, Cinema, La Rivista del Cinematografo) e il rapporto, tra gli altri, con Federico Fellini (del quale difese La Dolce Vita perdendo il posto al quotidiano cattolico dove scriveva); la sua passione per il Circo (e qui arriva l’esilarante racconto di Carlo di una serata dove rimane impietrito davanti al saluto dell’elefantessa).
Oltre a quelle dei figli, vengono mostrate le testimonianze di colleghi e amici che, in un racconto corale, delineano una personalità sensibile e curiosa, in anticipo sui tempi: come quella del sociologo Franco Ferrarotti, di Fernando Birri padre del Cinema latinoamericano, del regista Daniele Luchetti che ricorda le sue lezioni di cinema all’Università e di Liana Orfei. Non potevano mancare le voci degli amici senesi e dei contradaioli della Selva, molti presenti in sala. Il poeta Elio Pecora sintetizza l’umanità dell’amico così: “Mario Verdone aveva una larghezza di mente, l’occhio lungo e l’occhio corto. L’occhio corto per vedere quello che è molto vicino, e l’occhio lungo per vedere più lontano, quello che è dell’anima. E l’anima del mondo, come dice Hillman, non è fatta né di giovinezza né di vecchiaia”.
Il documentario di Luca Verdone è prodotto da Laurentina Guidotti e Conchita Airoldi per Iter film, in associazione con Luce Cinecittà e in collaborazione con Rai Cinema. E’ stato presentato in anteprima all’ultimo Festival del Cinema di Roma. Il docufilm ha il merito di far riscoprire una figura fondamentale della cultura senza scadere nella celebrazione, ma anche di fissare la memoria di un’epoca che ha reso famosa l’Italia attraverso il suo Cinema e di una generazione che ha inventato l’Italia democratica e antifascista.
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