Buona la prima? Non si sa, ancora. I dati rivelano una lenta ripresa del teatro italiano

Il report annuale Io sono Cultura,a cura della Fondazione Symbola e Unioncamere, dice che questo settore si sta riprendendo gradualmente. L’affluenza del pubblico resta, invece, preoccupante. Una riflessione in vista della Giornata mondiale del teatro.

Buona la prima? Non si sa, ancora. I dati rivelano una lenta ripresa del teatro italiano
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20 Marzo 2023 - 14.39


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di Irene Perli

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Dietro le quinte, poco prima dell’inizio di ogni spettacolo teatrale, si compie sempre la stessa azione che, per quanto scaramantica è imprescindibile: in cerchio si mettono le mani al centro e si urla “m*rda, m*rda, m*rda!”. È un augurio, per la buona riuscita dello spettacolo, anche se inizialmente il suo significato era diverso: nell’Ottocento, infatti, il teatro dei grandi nomi era quasi esclusivamente popolato dalla borghesia che si recava agli spettacoli in carrozza. “Tanta m*rda” era quindi sinonimo di una grande affluenza di carrozze trainate da cavalli, ergo tanto pubblico e maggiori guadagni.

Ma, anche nel Novecento, il teatro ha avuto i suoi grandi maestri e i suoi fulgidi momenti di gloria e in molti paesi del pianeta, anche dopo il Duemila. Rimane, quindi, una pratica  culturale che riguarda anche fasce di pubblico giovanile. 

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Oggi, invece, come si valuta lo stato dell’arte del teatro? E quali sono le sue attuali condizioni? Cerchiamo di fare più chiarezza in vista della Giornata Mondiale del Teatro che, dal 1962, si celebra il 27 marzo di ogni anno.

Sono da poco passati tre anni dal primo lockdown che ha messo in ginocchio l’Italia e i dati hanno dimostrato che il settore dello spettacolo è stato uno fra i più penalizzati tanto che, durante l’incontro annuale A Cultural Deal for Europe, svoltosi nel febbraio 2022, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen ha evidenziato le criticità che il settore delle performing arts ha riscontrato dalla pandemia, assicurando il sostegno da parte dell’Unione Europea. Il programma Creative Europe, infatti, pone l’obiettivo di promuovere tramite finanziamenti la diversità culturale e linguistica e la salvaguardia del patrimonio culturale europeo, rafforzando il potenziale strategico ed economico dei settori cerativi e culturali. Nel 2022, per sopperire alle difficoltà derivate della pandemia il budget ha beneficiato di un aumento complessivo di quasi 100 milioni di euro rispetto al 2021.

In Italia, il report annuale dell’INPS riguardante i lavoratori dello spettacolo ha confermato che il trend occupazionale del 2020 è migliorato nel biennio successivo, senza però riuscire ad eguagliare i dati pre-pandemici. Registi e sceneggiatori, ad esempio, hanno lavorato per 133 giornate nel 2019, passando poi a 125 nel 2020, per poi risalire a 129 nel 2021. L’annuale edizione di Io Sono Cultura, realizzata da Fondazione Symbola e Unioncamere con il patrocinio del MiC, ha affermato che si prospetta dunque una nuova fase di cambiamenti che potranno influire sull’assetto complessivo dell’offerta, della domanda e di converso sull’occupazione.

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I dati ISTAT, invece, si focalizzano sulla fruizione delle performing arts nel triennio 2019-2021. I risultati, però, mostrano il perdurare nel 2021 di uno stato di difficoltà: gli italiani che hanno assistito a uno spettacolo teatrale (in tutte le sue diverse tipologie), sono passati dal 20,3% al 2,9%. Questi ultimi dati sono utili al fine di analizzare l’impatto pandemico sulle abitudini degli spettatori: attengono, quindi, agli aspetti economici, ma soprattutto a quelli sociali, della condivisione che si respira nelle platee teatrali, aggregatrici di interessi comuni che pongono le basi per un dialogo critico e stimolano la coesione sociale.

I dati raccolti mostrano un lieve miglioramento a livello occupazionale dei lavoratori dello spettacolo, ma ciò non influisce sulla scarsa affluenza a teatro. Sicuramente la pandemia ha cambiato le abitudini sociali e noi, i protagonisti del distanziamento forzato, ci siamo rifugiati ancora di più nel digitale, l’unico mezzo aggregatore del Covid-19. Ciò che prima era usuale, oggi è diventato un ricordo. Quali sono quindi le cause di questa distanza dalle performing arts?

È vero che il teatro è un ambiente circondato principalmente da chi lavora all’interno del settore, per questo può essere visto come un luogo elitario piuttosto che aperto, riservato ai circoli più acculturati. Questo però non è del tutto vero, ma chi non fa parte di questo mondo può avere un’immagine distorta.

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Da qui si arriva ad un’altra possibile causa: la scarsa strategia comunicativa riguardo alle produzioni teatrali. È difficile decidere di assistere ad uno spettacolo senza aver letto almeno la trama o alcune recensioni, ma se nel mondo cinematografico è più facile trovare informazioni, in quello teatrale la situazione è differente: molti spettacoli hanno un budget limitato per la realizzazione, perciò la quota riguardante la sponsorizzazione è spesso effimera. Senza un’adeguata promozione, però, c’è molta probabilità di non riuscire ad avvicinare nuovi spettatori.

Da dopo la pandemia, infine, siamo molto più propensi alla comodità e, per quanto irrisorio sia il prezzo medio di un biglietto teatrale, preferiamo spendere la stessa cifra per l’abbonamento mensile ad una piattaforma che permette la fruizione di un alto numero di titoli cinematografici direttamente da casa. È necessario, però, ricordare che uno spettacolo teatrale ha un’importante obiettivo: creare un dialogo critico su temi socialmente rilevanti e, spesso, vale la pena fare uno sforzo per alzarsi dal divano e recarsi a teatro.

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