Il vero volto di Artemisia Gentileschi svelato dal padre Orazio e da Vouet

Due i ritratti della pittrice: a Fabriano in un’eccellente mostra sul caravaggismo, a Pisa alla Fondazione Blu. Anche Milano e, nel 2020, Cremona e Londra omaggiano i Gentileschi

Il vero volto di Artemisia Gentileschi svelato dal padre Orazio e da Vouet
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22 Ottobre 2019 - 14.43


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Qual era il volto di Artemisia Gentileschi: a oggi esiste una doppia opportunità se vi incuriosisce vedere una delle maggiori pittrici della storia, riconosciuta come tale dalla scrittrice Anna Banti nel dopoguerra ma passata agli onori della cronaca soprattutto perché intentò un processo per stupro al suo violentatore Agostino Tassi (ed era il ‘600 della Controriforma cattolica). A dirla tutta, per le leggi del caso o per una convergenza di interessi culturali, la stagione è proficua per vedere sia l’artista sia suo padre Orazio.

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Artemisia quattordicenne in veste di Santa Cecilia
La prima possibilità si squaderna a Fabriano, all’eccellente mostra alla Pinacoteca Molajoli di Fabriano fino all’8 dicembre “La luce e i silenzi: Orazio Gentileschi e la pittura caravaggesca nelle Marche del Seicento”. La rassegna curata da Anna Maria Ambrosini e Alessandro Delpriori esplora con modi ed esiti eccellenti come il cavaraggismo si fosse propagato nelle Marche a inizio ‘600. La mostra muove da Orazio Gentileschi (1563-1639), padre di Artemisia, e comprende una pala che raffigura una Circoncisione dalla Pinacoteca civica Podesti di Ancona. In alto a sinistra, una giovane suona un organo e guarda il pittore e noi che osserviamo. È Santa Cecilia e per l’appunto inquadra una Artemisia quattordicenne dacché il dipinto è datato 1607 e lei era nata nel 1593 per vivere fino al 1653. Se n’è accorta con studi d’archivio e perspicacia una giovane storica dell’arte, Lucia Panetti; la curatrice Anna Maria Ambrosini ha avuto l’apertura mentale di accogliere l’ipotesi che finora, a quanto ci risulta, non è stata rigettata alle ortiche dagli esperti.

Artemisia adulta e pittrice
L’altra Artemisia, stavolta adulta, già maestra riconosciuta con pennelli e tavolozza, è ritratta da un suo contemporaneo francese, eccelso pittore di casa in Italia, Simon Vouet. La Fondazione Palazzo Blu di Pisa ha acquistato di recente l’opera per la propria collezione e la espone fino all’8 marzo 2020, poi la darà in prestito alla National Gallery di Londra per una monografica proprio su Artemisia dacché il museo inglese ha di recente comprato una Santa Caterina di Alessandria dell’artista italiana.
Datato al 1623 o dintorni, il quadro viene considerato l’unico ritratto conosciuto della pittrice ma, con la scoperta marchigiana, diventa il secondo. E se il ritratto da Ancona raffigura una ragazza appena paffutella in veste d’angelo che osserva curiosa e tranquilla il padre pittore, nell’abito ocra e bianco dai toni luminosi l’Artemisia di Simon Vouet è una artista consapevole dei propri notevoli mezzi pittorici e intellettuali. Come sono arrivati gli storici dell’arte all’identificazione negli anni scorsi? Lo ricorda la Fondazione pisana: «Il medaglione, appeso sul corpetto di raso giallo. ha consentito agli studiosi di identificare con certezza la donna. Vi compare infatti un edificio a pianta circolare e la scritta ‘Mausoleion’. Si tratta del Mausoleo, terza meraviglia del mondo antico, edificato ad Alicarnasso dalla principessa Artemisia per Mausolo, suo fratello e marito».

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Orazio e i caravaggeschi nelle Marche
In un continuo gioco di incroci Vouet peraltro è presente nelle sale al primo piano della Pinacoteca fabrianese. Va detto: la mostra risalta perché offre dipinti superbi del primo ‘600 (e altri meno superbi ma utilissimi per confrontare) tra i quali una versione di Orazio Gentileschi del riposo durante la fuga in Egitto di Maria, Giuseppe e Gesù. È di proprietà privata e di estrema sintesi, modernità e partecipazione emotiva. Intorno al Gentileschi padre ruota un mondo dove domina il clima, religiosamente pesantuccio e spesso lacrimevole, della Controriforma. Clima religioso e culturale a parte, più di un artista declina secondo la propria sensibilità i celebri chiaroscuri ripresi dalla lezione di Caravaggio oppure se ne discosta con palesi echi classicisti. 
“La luce e i silenzi” delinea un percorso compatto, ha la giusta corposità, è costruita con una logica solida che si comprende guardando autori come Giovanni Baglione, Valentin de Boulogne o il marchigiano Giovan Francesco Gurrieri. Converrà ricordare che Orazio Gentileschi a Fabriano non è un pretesto fondato sulle chiacchiere: l’artista vi operò dal 1613 al 1619 e lasciò più dipinti.
La rassegna fabrianese chiude il ciclo di esposizioni promosse dalla Regione Marche nelle zone del terremoto del 2016 “Mostrare le Marche” e il 26 ottobre, alle 18, la giornalista Marta Paraventi ne parla con i due curatori alla Pinacoteca comunale di Ancona.

Orazio a Cremona, Artemisia a Milano
Dal “Riposo durante la fuga in Egitto” di Orazio Gentileschi è facile agganciare allora quanto prepara la Pinacoteca Ala Ponzone di Cremona: viene rinviata a marzo 2020 l’esposizione annunciata per novembre “Orazio Gentileschi. La fuga in Egitto e altre storie”. Dove la tela scelta per il titolo arriverà dal Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Infine, per concludere ancora in Lombardia questo andirivieni tra figlia e padre, il Museo diocesano Carlo Maria Martini di Milano espone dal 28 ottobre la “Adorazione dei magi” eseguita da Artemisia per la cattedrale di Pozzuoli nel 1636-37 e prestata dalla Diocesi appunto di Pozzuoli, a Napoli. La raccolta milanese espone la tela nel suo appuntamento riservato a un’opera singola, il “Capolavoro per Milano”, e per la prima volta riserva l’onore a una donna.

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Il sito della mostra a Fabriano “La luce e i silenzi”

Il sito della Fondazione Blu di Pisa, il ritratto di Artemisia

Il sito con il Museo diocesano Martini di Milano

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Nella foto, particolari dai due dipinti
A sinistra Artemisia Gentileschi ritratta da Orazio Gentileschi nella Circoncisione, Pinacoteca civica Podesti di Ancona (fonte Lucia Panetti);
a destra Artemisia ritratta da Simon Vouet alla Fondazione Blu di Pisa (foto Nicola Gronchi).

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