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Il ghanese Ibrahim Mahama impacchetta Milano con sacchi di iuta africani

A Porta Venezia un'installazione dell'artista commissionata dalla Fondazione Trussardi con materiale che simboleggia i mercati del suo continente

Il ghanese Ibrahim Mahama impacchetta Milano con sacchi di iuta africani
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redazione Modifica articolo

11 Marzo 2019 - 10.07


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L’immagine che accompagna questo articolo documenta una delle grandi installazioni urbane di Ibrahim Mahama, artista ghanese, realizzata nel 2015 nella capitale del suo paese, Accra. L’occasione è che fino al 14 aprile l’artista ha un’altra sua opera ai due caselli daziari di Porta Venezia a Milano: l’ha intitolata “A Friend” e l’ha creata appositamente per la Fondazione Nicola Trussardi. L’opera è stata realizzata in occasione dell’Art Week milanese con il coordinamento del Comune di Milano,

L’artista, nato a Tamale nel 1987, scelto dal direttore artistico della fondazione Massimiliano Gioni, è intervenuto al crocevia di Porta Venezia, una delle sei porte principali della cinta urbana, per secoli la porta d’Oriente della città, luogo simbolo passando per le descrizioni nei Promessi Sposi, fino ai quartieri multietnici di oggi si articolano intorno a questo snodo fondamentale.

Come ha già fatto in molte città e capitali, Ibrahim Mahama avvolge gli edifici storici o monumentali con sacchi di juta per guardarli in altro modo e porsi domande. Esplicito il rimando agli impacchettamenti di edifici e monumenti di Christo e della moglie Jeanne-Claude. E il materiale impiegato è importante: i sacchi di Mahama simboleggiano i mercati del Ghana, sono fabbricati in Asia e importati in Africa per trasportare merci, dal cacao ai fagioli fino al riso e il carbone.

Il sacco di juta, dice l’artista nella nota stampa, “racconta delle mani che l’hanno sollevato, come dei prodotti che ha portato con sé, tra porti, magazzini, mercati e città. Le condizioni delle persone vi restano imprigionate. E lo stesso accade ai luoghi che attraversa”.
Per assemblare i sacchi, spesso Mahama “collabora con decine di migranti da zone urbane e rurali in cerca di lavoro, senza documenti né diritti, vittime di un’esistenza nomade e incerta che ricorda le condizioni subite dagli oggetti utilizzati nelle proprie opere”, rammenta la nota stampa.

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